Quinta stagione ai piedi del Sacro Monte, i galloni da capitano conquistati sul campo e il piacere di sentirsi «un varesino d’adozione». Giancarlo Ferrero, capitano della Openjobmetis Varese, racconta l’avvio della nuova stagione, il suo rapporto con i tifosi e quello con la città intera. Tutto in una settimana che, per il mondo della palla a spicchi biancorossa, non è come le altre.
Capitano, domenica il derby con Milano ad Assago. Come ci arriva Varese?
«Ci arriva dopo una grande prestazione in casa contro Brindisi. Attorno a questa partita, come sempre, c’è una grande atmosfera. Poter giocare contro l’Olimpia è sempre molto emozionante; parliamo di una formazione di altissimo livello, costruita per vincere. Noi andremo ad Assago con umiltà, pronti a giocarci una partita importante. È inutile nasconderlo: quelle con Milano e Cantù sono le partite più sentite dal pubblico e da tutto l’ambiente e noi vogliamo fare una bella figura».
Ecco, i tifosi. Quale è il rapporto con loro? Sentite la vicinanza della città alla squadra?
«Il pubblico di Varese è speciale, molto competente e abituato a veder giocare una grande pallacanestro. L’affezione che la città prova per la squadra si vede anche dai numeri: tanti abbonamenti, il Palazzetto sempre pieno. Quest’ultimo a volte, con partite di cartello o in momenti particolari della stagione, sembra quasi una bomba pronta a esplodere. Il clima, comunque, è sempre bello per tutti, con tante famiglie e bambini sugli spalti. Negli anni i tifosi si sono sempre identificati nella squadra: possiamo vincere o perdere, quelle sono le regole del gioco, ma siamo sempre combattivi e in campo diamo tutto».
Ha parlato di bambini. Che valenza ha investire sui settori giovanili e, più in generale, sullo sport di base per le nuove generazioni? Lei era all’inaugurazione della nuova palestra della Pellico; la società stessa è impegnata in prima linea con progetti che riguardano le scuole; tante strutture della città, dalla Falaschi al campo di atletica di Calcinate, stanno vedendo una nuova vita. Cosa ne pensa?
«Credo sia molto importante avvicinare allo sport i più piccoli. Prendo la mia storia come esempio: ho iniziato a giocare da bambino con un percorso di minibasket e pensavo alla Serie A come un sogno; io, poi, arrivo da Bra, in provincia di Cuneo, e i campioni li vedevo da lontano. Qui a Varese, dove ci sono una società storica e una tradizione legata alla pallacanestro, è ancor più doveroso investire sulle nuove generazioni. Assieme alla Pallacanestro Varese capita spesso, a me e ai miei compagni, di entrare negli istituti scolastici con il progetto “Basket: una scuola di vita”. Raccontiamo ai ragazzi la strada che abbiamo fatto, la nostra storia e le nostre esperienze; questo non solo in termini cestistici, ma anche allargando lo sguardo alla necessità di andare oltre i sacrifici e alla bellezza di farlo insieme agli altri, come in una squadra. D’altronde, per i nostri piccoli tifosi, noi siamo degli esempi. E la nostra responsabilità è esserlo sia dentro che fuori dal campo. Poi, probabilmente, in pochi diventeranno giocatori professionisti e faranno questo lavoro nella vita, ma certi valori servono per diventare tutti una comunità migliore».
Nelle scorse settimane una delegazione di imprenditori australiani è stata protagonista di alcuni sopralluoghi nelle strutture sportive della città. Lei che è il Palazzetto lo vive da protagonista, come vede questo interesse internazionale attorno alla casa del basket biancorosso?
«Non mi stupisce. Varese a livello sportivo è in prima linea in molteplici discipline, ma credo si possa dire che, fra tutte, la pallacanestro rappresenta il fiore all’occhiello. Parliamo di una società storica, capace di vincere dieci scudetti e cinque Coppe dei Campioni; direi che è normale che ci possa essere un interesse anche dall’estero. Ho letto che si tratta di un grosso progetto, che interesserebbe non solo il Palazzetto ma tutta l’area circostante. Da parte mia credo che ci possano essere grandi possibilità di ampliare e migliorare gli spazi: ogni domenica il basket porta a Masnago cinquemila persone; se uno vuole investire nello sport credo che questo sia il posto giusto».
Torniamo alla Pallacanestro Varese versione 2019/2020. Ci si può sbilanciare su degli obiettivi?
«Noi, a inizio stagione, non ne abbiamo parlato. Siamo partiti con una squadra nuova, con sette innesti e solo tre italiani che già avevano giocato con questa maglia lo scorso anno. Diciamo che, dopo un esordio non eccezionale contro Sassari alla prima in casa, abbiamo avuto subito una bella reazione, dando prova di orgoglio e determinazione. Il campionato, quest’anno, è molto livellato. Credo che il nostro compito sia pensare a noi stessi e che, concentrandoci sul lavoro, potremo toglierci qualche soddisfazione».
E la città di Varese? Cosa rappresenta per lei?
«Io, dopo cinque anni, mi sento un varesino d’adozione. Varese è una città da scoprire: c’è il Sacro Monte, un luogo speciale; c’è il centro storico, con i suoi ristoranti e gli angoli inaspettati; c’è Mustonate, di cui io sono innamorato. Personalmente, arrivando da fuori, ho trovato diverse opportunità interessanti. Sono molto contento di essere qui e spero di restarci ancora a lungo».