«Vaccinare i bambini contro l’influenza, così da non confondere i sintomi di quest’ultima con quelli del Covid, è un’iniziativa lodevole. Il timore, però, è che non basti. L’influenza è infatti solo uno dei tanti virus respiratori che dovremo affrontare e che, come ogni anno, si manifesteranno con raffreddori stagionali. Così non vorrei che a ogni sintomatologia “normale” si pensasse subito alla pandemia. Servono cautela e buonsenso». Il pensiero del professor Paolo Grossi, direttore della struttura complessa “Malattie infettive e tropicali” dell’ospedale di Circolo, potrebbe essere riassunto così: «Ogni iniziativa di prevenzione è buona, occorre però che ci sia la responsabilità di tutti».
Professore, il Comune di Varese sta lavorando all’ipotesi di proporre una vaccinazione antinfluenzale gratuita a tutti gli studenti della città. Cosa ne pensa?
«Sarebbe sicuramente un fattore positivo. La popolazione in età pediatrica, infatti, è quella maggiormente soggetta all’influenza, per il semplice fatto che non vi è mai stata esposta e che è quindi completamente non immune. Altra cosa che si eviterebbe, poi, è che i bambini diventino fonte di contagio in famiglia, con nonni e genitori che potrebbero subire conseguenze più serie di quanto l’influenza non comporti nei più piccoli. Attenzione però: il picco dell’influenza è, solitamente, tra la fine di gennaio e la metà di febbraio, mentre prima potremmo entrare in contatto con altri agenti che potrebbero colpire le nostre vie respiratorie. Insomma, il vaccino antinfluenzale non previene tutto, ma solo l’influenza. Così vedo sinceramente con grande preoccupazione il fatto che, con l’autunno e la diffusione dei virus respiratori, la gente possa pensare al Covid per qualsiasi raffreddore. Temo soprattutto per le possibili ricadute sulla rete ospedaliera: abbiamo infatti anche molti altri virus tra i quali i rhinovirus e i coronavirus “autoctoni”, che sono diversi da quello responsabile del Covid. Quello che non possiamo permetterci è un sovraccarico non giustificato degli ospedali».
Il Ministero della Salute indica la possibilità di proporre il vaccino antinfluenzale soprattutto ai bambini tra i 6 mesi e i 6 anni. Ritiene opportuno andare anche oltre questa fascia di popolazione?
«A mio parere la popolazione maggiormente esposta alla possibilità di contagio è quella in età scolare. Far rispettare misure come il distanziamento o l’utilizzo delle mascherine ai bambini, infatti, è più complicato che chiedere il rispetto delle stesse indicazioni agli adulti. Sarei favorevole a un estensione del vaccino anche per i più grandi, magari fino all’età liceale».
E l’estensione al resto della cittadinanza, coprendo anche chi normalmente non si sottopone a questa vaccinazione?
«L’influenza è comunque una seccatura, ma, soprattutto, rischia di risultare confondente per la sovrapponibilità della sintomatologia con quella del Covid e, di conseguenza, rischia di mettere sotto eccessiva pressione il sistema sanitario. Se si riuscisse a estendere il vaccino a tutti, adulti compresi, sarebbe quindi a mio parere un bene. Certo però che tutto dipende dall’approvvigionamento complessivo, nella consapevolezza che è fondamentale coprire prima gli over 65enni e quanti sono affetti da altre patologie che, con l’influenza, potrebbero presentare complicazioni. Se il vaccino ci fosse per tutti, poi, tanto di guadagnato. Occorre comunque procedere per gradi: penso, per esempio, che tra i primi a doversi sottoporre alla vaccinazione ci dovrebbe essere il personale sanitario, che per lavoro è a contatto con soggetti fragili. Teniamo poi presente che, purtroppo, la percentuale di persone che si vaccinano annualmente per l’influenza, pur rientrando tra coloro ai quali la vaccinazione è offerta attivamente e gratuitamente, è inferiore all’atteso. Insomma, bisognerebbe anche vedere, a fronte di una eventuale disponibilità di sufficienti dosi di vaccino, quante persone vorrebbero poi realmente sottoporvisi».
Cosa pensa della possibilità, indicata dal Comitato tecnico scientifico, di reintrodurre il medico scolastico negli istituti italiani?
«Può essere una bella opportunità, anche al di là del Covid. Il medico scolastico potrebbe infatti essere una figura importante, in grado di prendersi cura con tempestività delle diverse problematiche che possono emergere in un ambiente con tanti bambini a stretto contatto. Reintrodurlo potrebbe senz’altro essere una misura intelligente».
C’è qualche consiglio che vuole dare, in vista della riapertura delle scuole e della conseguente preoccupazione che possono avere genitori e famiglie?
«Partiamo dal fatto che, purtroppo, questo virus c’è e continua a circolare. Quello che sta succedendo in altri Paesi del mondo lo dimostra: non è sparito né si è indebolito; siamo stati bravi noi, se mai, a contenerlo grazie al lockdown, che pure ha avuto le sue pesanti ricadute. Innanzitutto niente panico. Il tasso di letalità del Covid è relativamente basso, ma le conseguenze sul sistema sanitario potrebbero essere molto pesanti. Se il sistema andasse in tilt il rischio maggiore sarebbe quello di trascurare tutte le altre patologie che purtroppo affliggono molte persone nel nostro Paese, con queste ultime che rischierebbero così di non ricevere risposte assistenziali adeguate. Il consiglio principale è, quindi, quello di mantenere un atteggiamento di cautela, perché il rischio di tornare indietro è oggettivo. Le precauzioni, che magari possono sembrare banali ma che sono invece fondamentali, sono quelle più volte ripetute in questi mesi: indossare le mascherine, mantenere il giusto distanziamento interpersonale e lavarsi le mani. Prudenza e cautela, insomma, per evitare che la diffusione del virus torni elevata».