«Il tutto esaurito? Sempre bello, ma ormai è una consuetudine per noi; gli eventi vanno sold out da cinque o sei anni. Non possiamo crescere finché la sala a nostra disposizione ha solo 250 posti, serve un nuovo teatro». Solo ieri sera Fabio Sartorelli, direttore della Stagione musicale comunale, registrava il successo del primo appuntamento 2019/2020. Neanche ventiquattro ore e lo sguardo è rivolto già alle prossime tappe.
Direttore, quale può essere il futuro?
«Per parlare di futuro dobbiamo partire dal nostro presente. Sono anni che la Stagione musicale comunale va in scena all’interno del Salone Estense; 250 posti, 192 coperti soltanto dagli abbonati. Questo vuol dire che, per tutti i varesini interessati a un singolo concerto, noi abbiamo a disposizione soltanto 58 biglietti. Chiariamo: il successo e i sold out sono un bene, soprattutto perché arrivano per eventi non gratuiti e sui quali il pubblico è disposto a investire. Ogni ingresso costa tra i 15 e i 25 euro, mentre gli abbonamenti 150. Vuol dire che una coppia, che magari si porta anche dietro un figlio, ha una spesa annua importante. Personalmente credo che abbiamo raggiunto il massimo a cui potevamo aspirare. Per andare oltre, però, serve un nuovo teatro».
Il progetto Politeama…
«Un’idea non solo bella, ma anche necessaria. Certo, purché non si facciano sconti su quella che deve essere l’acustica: o è perfetta, oppure è tutto inutile. Il nuovo teatro è necessario e Varese lo attende da decenni; vederlo nascere al posto del Politeama poi aggiunge ulteriore valore. Parliamo di un’area della città, quella delle stazioni, che negli ultimi anni sta vivendo un momento di difficoltà e che sarà interessata da grandi rinnovamenti. Portare un nuovo teatro significa anche risanare quanto sta attorno. Insomma, vedo solo elementi positivi».
Qualche critica è però arrivata.
«Io parlo dei concerti, che hanno bisogno di un bel palcoscenico e di un’acustica perfetta. Se poi la città impazzisce e pensa che si debba portare qui un teatro d’opera allora io dico che la città sbaglia. Siamo vicini a Milano, alla Scala: se uno vuole vedere la grande opera va lì. Che senso ha sostenere il contrario? E, anche se fosse, chi la paga la grande opera? Stiamo parlando degli spettacoli più costosi in assoluto. È pura follia, a meno che non si vogliano fare cose dilettantesche. Sogniamo tutti, è vero, ma occorre tenere i piedi per terra. Con il costo di uno spettacolo del genere ci si può fare un’intera stagione musicale».
Che teatro immagina?
«Una struttura moderna, con tutto quello che può completare l’esperienza di un concerto. Bar, librerie, ma anche più semplicemente un vero e proprio guardaroba. Sui numeri, invece, credo che la Stagione musicale sarebbe già un’altra cosa con 150 posti in più. Ma una bella sala, con una bella visibilità da ogni lato, attirerebbe ancora più pubblico».
Torniamo al programma 2019/2020. Ieri l’ensemble “Zefiro”, tra tre settimane il violoncello di Giovanni Sollima.
«Un grande appuntamento, con un artista di incredibile spessore e che è anche compositore. Sollima suonerà proprie rielaborazioni di canti popolari, ma a questi aggiungerà la Suite n. 1 di Bach. Personalmente mi aspetto tanto e Varese la pensa come me: il concerto sarà domenica 10 novembre, ma, a questa mattina, avanzano solo 20 biglietti. Se raggiungiamo questi risultati è perché, da ventuno anni, insistiamo senza sconti sulla qualità».
Se si guarda indietro, quando tutto è cominciato, cosa vede?
«All’inizio una certa difficoltà. Volevamo un’iniziativa che puntasse da subito su valore e qualità, ma questo metteva da parte le ambizioni di molti musicisti locali; subivamo diverse pressioni perché le nostre scelte non venivano capite. Oggi però è diverso, il lavoro ha pagato e chi viene si inchina alla bravura degli artisti. Abbiamo attestato la vocazione musicale della città: c’è voglia di grande musica, ma anche di incontri che approfondiscano aspetti particolari, di appuntamenti dove poter parlare di questi temi. È musica classica, è vero, ma è sconvolgente, rivoluzionaria. Tanto che rimane nel tempo. Pensiamo a Schubert, Beethoven, Chopin, Brahms. Ieri sera i concerti di Bach sono durati due ore e venti. Sono volati, e la gente sarebbe rimasta lì ancora più a lungo».